Dieci pensieri ovvi, manifesto per la responsabilità sociale d’impresa

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Estratto dal manifesto, lanciato da la220 e da T.G.E. attualmente in discussione tra vari imprenditori.

Trent’anni fa Friedmann teorizzava la separazione tra responsabilità d’impresa e responsabilità sociale: l’unico dovere morale dell’impresa, diceva, era ottenere il massimo utile per gli azionisti; grazie a profitti più elevati ciò avrebbe automaticamente prodotto ricchezza e lavoro per tutti.  Dopo trent’anni possiamo fare il saldo: com’è andata? E’ stato un mix di tre cose: abitudine alla pancia piena, previsioni sbagliate e mancata percezione del feed-back: la somma è una specie di anestesia da onnipotenza che all’improvviso rende impotenti. Non è qualcosa di molto simile, ciò che ha fatto suicidare il comunismo? Noi imprenditori italiani, anche noi abbiamo cantato la canzoncina, ma in playback, muovendo solo la bocca per non stonare. Eravamo in ritardo, ancora intenti agli errori precedenti: continuavamo a succhiare la tetta statale ormai avvizzita; invece di valorizzare il prodotto, svalutavamo la moneta con cui pagarlo. Ci siamo tenuti la tenia mafiosa nella pancia, e per qualcuno è diventata così grossa da controllare il cervello e le mani. In un Paese di trasformatori, cui servono innanzitutto energia e intelligenza, guardate come abbiamo ridotto la nostra energia e la nostra ricerca.
Non è mai troppo tardi per guardarsi allo specchio.
Abbiamo una brutta cera, ma finalmente sappiamo che è questione di salute, del maquillage ormai chi se ne frega.

Come contributo alla terapia ecco dieci “cosette” apparentemente ovvie. 

  • Meglio una gallina domani

    Da almeno vent’anni l’impresa italiana ha preferito l’uovo oggi, voleva fatturare subito; ma non contenta, ha anche tirato il collo all’ovaiola: vantandosi di aver fatturato subito sia l’uovo che la gallina….. Oggi, c’è solo una soluzione: covare con pazienza nuove uova e, quando cresce una gallina, trattenere l’appetito e non tirarle il collo. Se il fatturato è basso, è ora di scoprire che non vali niente se non esprimi valori.

  • Il fatturato non è l’unico valore aggiunto

    La fidelizzazione del cliente. La competenza interna. La percezione rapida delle modificazioni del mercato. Sono valori aggiunti. E’ facile dare la colpa ai cinesi: quello che succede oggi potevamo prevederlo da tempo. Anzi, più che prevedere lo avremmo dovuto immaginare……. Chi è l’avversario? I cinesi? I sindacati? Le multinazionali? L’Euro? Non sarà invece quella faccia nello specchio?

  • La competizione non è fare il prezzo più basso, ma garantire un valore

    Si dice: tanto minori sono la cultura, la competenza e il gusto per il prodotto, quanto più facilmente vince il prezzo basso. E’ vero, ma è vero anche il contrario: a volte si scopre che molti prodotti cari sono decisamente simili a quelli più economici. Solo nella consulenza e nel servizio un’impresa può fare la differenza. Sembra un paradosso, ma presto venderà bene colui che insegnerà al cliente il risparmio.

  • L’energia non è un servizio, è una materia prima e una metafora

    L’energia: da decenni è stata prodotta distribuita ed usata in modo monopolistico, inefficiente ed antiecologico. Oggi l’energia è ancora considerata un costo diverso dagli altri, come una specie di tassa. ..
    Ma l’energia che ci manca è anche una metafora: la forza degli elettroni nel cavo somiglia per analogia all’energia psicologica dell’imprenditore, della sua azienda e più in generale all’economia del paese. L’energia che abbiamo dentro, quella morale e psicologica, è incostante, sforzata, gestita in modo dispersivo: è molto simile a quella “vera”: sporca, costosa e usata male. Abbiamo bisogno di una energia nuova. Se è vero che la mente umana funziona per metafore, vuoi vedere che la terapia psicologica contro la depressione dell’imprenditore passa proprio da un’energia più pulita, più economica e usata più razionalmente?

  • L’università non deve somigliare a un’azienda; se mai, viceversa

    Per trasformare servono due materie prime: energia e intelligenza. L’intelligenza dove si trova? Come si coltiva? I cervelli nascono nei bambini.  ….. L’imprenditore che pronuncia uno dei più sciocchi luoghi  comuni “la scuola deve funzionare come un’azienda” non ha capito nulla. Se mai è l’opposto: dovrebbe essere l’azienda a imparare finalmente dalla cultura come funzionano i processi motivazionali, come si naviga in sistema complesso, come si autocorregge un processo in atto, come la ricerca è collegata alla curiosità umana. La cultura della comunicazione nelle aziende è spesso decisamente mediocre e crea danni ….meglio però dare la colpa all’euro.

  • L’ecologia non è più un costo, diventa un’ avventura tecnologica divertente come l’informatica negli anni ‘80

    Il risparmio energetico è una delle priorità. Pochissime imprese usano efficientemente l’energia, senza saperlo mandano in fumo un buon 35% della bolletta energetica per macchine usate in modo inefficiente, orari non sicronizzati, tariffe mal calcolate, scarso controllo gestionale del processo. Basta, con l’imprenditore inquinatore.

  • Il front office ne sa sempre una di più dell’amministratore delegato

    In un sistema semplice il capo ragionava, decideva e dava gli ordini ai subalterni. Nell’era dell’informazione, no. In una società complessa il capo per decidere ha bisogno di dati, informazioni. Trasformare i livelli periferici in sensori e formare la gerarchia aziendale come un sistema ricettivo di percezione e elaborazione delle informazioni è oggi indispensabile.

  • Non moriremo mediando

    Siamo nella civiltà connettiva. Un tempo, dicono, la politica era l’arte di mediare: di trovare il punto d’incontro. Oggi il senso dello stato e l’etica della politica sono talmente in basso che possiamo anche rimpiangere quei tempi, ma la strada da prendere è decisamente un’altra.  Oggi possiamo confrontare i pensieri prima che si cristallizzino in ideologie, e usarli reciprocamente come leva per pensare insieme più forte e più lontano. Questo muove anche le acque più stagnanti. Scopriamo che a volte la radicalità ha più buon senso del moderatismo, che spesso la divergenza ha più salute sociale del conformismo.

  • Uno spettro si aggira per la Cina

    Tutti si lamentano della Cina, ma quanti hanno investito laggiù? Quanti hanno venduto laggiù macchine per fabbricare gli oggetti che oggi concorrono sottocosto? Gli esportatori “cinesi” sono quasi tutti occidentali, e molti tra loro sono italiani. Per parlare di Cina, meglio avere una prospettiva lunga; preoccupiamoci ad esempio dell’energia che consumeranno i cinesi nel prossimo ventennio; quello sì che sarà un problema di vita o di morte, le loro scarpe in confronto sono una sciocchezza.

  • Se l’Africa fosse un giardino felice, saremmo più ricchi

    Ci raccontano che per arricchire l’Africa dovremmo essere più caritatevoli, rinunciare a un po’ del nostro benessere. Insomma ci fanno credere che per fare loro meno poveri dovremmo essere noi meno ricchi. Massimo rispetto per la carità, preziosissima teoria, per tamponare l’emergenza; ma sui tempi lunghi è vero il contrario: se l’Africa tornasse ad essere un paradiso, anche noi saremmo più ricchi; e anche più sicuri. E, soprattutto, più felici.